… preludi e fughe in tutti i toni e semitoni, comprendenti sia la terza maggiore, ossia ut re mi, che la terza minore, ossia re mi fa…

I termini “preludio” e “fuga”, nell’immaginario collettivo, tendono ad essere facilmente associati al nome di Johann Sebastian Bach. Non c’è troppo da stupirsi, considerando la notorietà anche “popolare” che ha guadagnato Il Clavicembalo ben temperato (non è raro sentire suonerie di telefoni cellulari riprodurre una versione semplificata del primo Preludio del Primo Libro). Tuttavia, questo non significa che sia altrettanto diffusa la consapevolezza di cosa siano un “preludio” e una “fuga”. Non è difficile, però, farsi almeno un’idea generale.

Il termine “preludio” indica una composizione musicale che ne introduce o anticipa un’altra. Nel caso del CBT, la considerazione è innegabilmente corretta (ogni preludio precede una fuga); esistono tuttavia, nella storia della musica, casi di preludi isolati, come quelli realizzati da Chopin o Rachmaninov; tuttavia si tratta di opere molto posteriori a Bach.

Non esiste un “atto di nascita” ufficiale per il preludio. Le radici di questa forma musicale non si trovano in un metodo di composizione ben identificabile, bensì in una prassi esecutiva, diffusasi già a partire dal XV secolo ma sicuramente presente anche in periodi precedenti: l’improvvisazione. Tale pratica era legata in particolar modo agli strumenti a corde e a tastiera; le sue funzioni potevano essere varie, comprendendo la prova dell’accordatura, il “riscaldamento” prima di un’esecuzione, o, più spesso, l’introduzione della giusta tonalità armonica che poi avrebbe riguardato il pezzo a seguire, utile per la giusta intonazione di un coro o di altri strumenti. Nonostante la totale libertà dell’esecutore, tuttavia esisteva una naturale tendenza a servirsi prevalentemente di accordi estemporanei con un grado variabile di decorazioni e “fioriture”. 

 

Fu nel XVI secolo che queste intonazioni improvvisanti iniziarono ad assumere forme più definite e fissate su pagina, assumendo il nome di preambulum o intonatio. Forme dette propriamente “preludio” si svilupparono tuttavia solo nel 1600, pur sempre mantenendo quel grado di “indeterminazione” pervenuto loro dalla pratica improvvisativa. Ad esempio, diversi preludi francesi del periodo in questione non sono scritti in forma metrica; le note sono riportate solo parzialmente, i valori ritmici non sono indicati e le durate sono solo abbozzate. 

A partire dal 1600, e poi nel XVIII secolo, i preludi diventano pezzi sempre più convenzionali, ossia grandi costruzioni accurate e disciplinatamente elaborate. Questo fu dovuto anche all’evoluzione del genere in ambiti non strettamente solistici, come nel caso delle introduzioni alle opere liriche (dette ouverture o sinfonie), o dei movimenti lenti posti all’inizio delle sonate da camera. È interessante notare la naturale unione che si costituì tra preludio e fuga, in ambito strumentale, che anticipò la concezione bachiana di tale dittico. Soprattutto nella musica tastieristica della Germania del nord, il termine “preludio e fuga” iniziò ad indicare non due brani distinti, ma un’unica composizione dal carattere misto (ad esempio in Dietrich Buxtehude, uno dei più importanti ascendenti di Bach). Solo lentamente i due brani si separarono, pur rimanendo concettualmente vincolati. Gli effetti di questa separazione portarono a raccolte come la già citata Ariadne musica di Fischer.

Molto più complesso è il percorso storico della fuga, che ora non è possibile riassumere; può essere invece più utile dare qui qualche cenno sulla struttura della fuga stessa, le quale più che una forma è una tecnica compositiva.

Legate al termine “fuga” si trovano spesso le indicazioni “a tre voci”, “a quattro voci”, e simili. L’indicazione si riferisce al numero di linee melodiche indipendenti presenti e sovrapposte all’interno del pezzo. Ovviamente, l’impegno del compositore aumenta proporzionalmente al numero di voci. Tali voci, infatti, devono essere legate tra loro, armonicamente e tematicamente. Dal punto di vista del tema, esse contribuiscono tutte a sviluppare uno spunto melodico e ritmico con un carattere proprio: il cosiddetto soggetto della fuga. È molto semplice individuarlo, almeno in linea di massima. Difatti, le voci entrano una per una, in tempi successivi: dunque all’entrata della prima voce non vi sono altre linee melodiche compresenti. Le singole note che vengono udite sono proprio le costituenti del soggetto. L’entrata della seconda voce propone lo stesso soggetto (mentre la prima prosegue con un controsoggetto), tuttavia con un vincolo armonico; il soggetto viene intonato partendo da cinque note più in alto (o quattro più in basso), ad una quinta superiore, dunque (quarta inferiore). La voce successiva ripresenta il soggetto nella sua versione originale, e così via. Una volta che l’entrata di tutte le voci è compiuta, si può dire che l’esposizione di una fuga è terminata. In genere a questo punto si presenta il primo di quegli episodi di collegamento detti divertimenti, che preparano una successiva esposizione con un certo grado di libertà. I divertimenti, specie in Bach, possono avere un’importanza anche elevata nella costruzione di una fuga. Molti sono poi gli artifici contrappuntistici di cui l’artista si può servire nella prosecuzione del discorso musicale (canoni, inversioni…). Qui segnaliamo solo lo stretto, che in genere introduce la conclusione della fuga. Si tratta dell’entrata finale di tutte le voci, tuttavia ad una distanza ravvicinata dal punto di vista temporale, rispetto all’esposizione. Il compositore deve essere in grado di prevedere lo stretto sin dall’inizio, per costruire un soggetto che possa sovrapporsi a se stesso in questo modo, senza provocare dissonanze troppo aspre o errori armonici di altro genere.

Quella qui presentata è, naturalmente, un’estrema semplificazione della struttura della fuga. Va inoltre considerato che molto spesso determinati autori, e nello specifico Bach, avevano palesemente una naturale predisposizione nella creazione di fughe, dando così un’indispensabile spontaneità ad un processo di creazione che altrimenti sarebbe risultato insopportabilmente “scolastico” e freddo. Si crede che Bach riuscisse addirittura a concepire le sue fughe in un atto unico, un singolo “pensiero musicale” che prevedesse in partenza tutte le combinazioni possibili tra soggetto e controsoggetto. È chiaramente un’iperbole, ma forse non si è così lontani dal vero.

 

 

 

Va infine precisato che l’accostamento di un determinato preludio ad una determinata fuga, nel CBT, non dipende quasi mai da legami tematici. I pezzi possono essere persino di carattere molto diverso: basta ascoltare il Preludio e fuga n. 7 del Primo Libro per rendersene conto. Il legame fondamentale rimane solo quello armonico-tonale; i pezzi, tuttavia, non avrebbero alcun senso se eseguiti da soli, senza l’altro componente del dittico, vista anche la tradizione storica da cui discende l’organizzazione che Bach ha dato al CBT.

 

 

 

La tastiera ben temperata…

 

 

 

La dicitura “ben temperato” che compare nel titolo dell’opera può apparire oscura, ma in realtà si riferisce ad un concetto di comprensione relativamente facile. Il “temperamento” della tastiera, infatti, non è altro che la suddivisione dell’ottava musicale in dodici parti uguali. Tale accorgimento è detto anche “temperamento equabile”, ed ha lo svantaggio di rendere tutti gli intervalli realizzabili sulla tastiera leggermente diversi dagli intervalli “naturali”, dati da rapporti numerici semplici tra le frequenze dei suoni (ad esempio, 1/2 corrisponde all’ottava, 2/3 alla quinta, e così via secondo uno schema che sembra sia stato scoperto e costruito da Pitagora). Tuttavia, con il temperamento equabile diventa possibile trasporre un brano in qualsiasi tonalità, ossia scegliendo una nota qualsiasi per iniziare e poi adattando le successive di conseguenza, rispettando gli intervalli dati inizialmente. E da questo consegue immediatamente la possibilità di comporre un brano in qualsiasi tonalità, non dando alcuna impressione di artificiosità, come l’opera di Bach dimostra. 

 

 

 

Esiste un altro problema relativo al titolo. La traduzione italiana “Il Clavicembalo ben temperato” è sostanzialmente errata, così come le letture “Le clavecin bien temperé”, o “The Well-Tempered Clavichord”. Il problema fondamentale di queste traduzioni è il riferimento esplicito ad uno strumento musicale (il clavicembalo, il clavicordo) quando l’originale tedesco (Clavier) si riferisce genericamente ad una parte di uno strumento, ossia la tastiera. Questo fatto linguistico rimanda ad una più generale questione legata al CBT: quale fu lo strumento a cui Bach destinò la sua opera? La domanda non ha una risposta. In genere, la musica per tastiera di Bach non ha mai una destinazione precisa; è usuale la dicitura für Clavier (anche se sono riscontrabili rari casi di indicazione “per clavicembalo” o “per organo”). Complicazioni nell’interpretazione dei titoli bachiani sono poi sorte sin dal 1753 (Bach, si ricorda, morì nel 1750), anno della pubblicazione del Saggio di metodo per la tastiera di Carl Philipp Emanuel Bach; già in quel periodo, il termine Clavier era riservato ormai al solo clavicordo, lasciando all’identificazione del clavicembalo termini quali Clavicimbel, o Flügel, o Keilflügel. Il clavicembalo e il clavicordo inoltre non sono stati gli unici strumenti a tastiera a cui si è associato il CBT; importanti considerazioni hanno ad esempio riguardato l’organo, in base ad elementi di stile nella scrittura di alcuni Preludi e fuga. Concretamente questo si può riscontrare nella Fuga in la minore del Primo Libro, dove un pedale su un la tenuto, alla battuta 83, fa pensare spontaneamente ad una scrittura organistica più che clavicembalistica. 

 

 

 

La sempre maggiore fortuna del pianoforte a partire dalla fine del Settecento, poi, ha proposto nuove questioni di carattere filologico, sulla legittimità o meno dell’interpretazione del CBT su tale strumento. Appare comunque estremamente improbabile, se non impossibile, che Bach possa aver pensato al pianoforte scrivendo i suoi preludi e le sue fughe. Il compositore non ignorava comunque l’esistenza di questa ulteriore “tastiera”, tra le tante disponibili. Ebbe anzi occasione di provare quindici diversi pianoforti Silbermann alla corte del re di Prussia Federico il Grande, arrivando addirittura ad improvvisare su uno di essi una fuga a sei voci su un soggetto proposto dal re. Il soggetto era quello che poi sarebbe diventato base per L’Offerta musicale; ma l’indicazione riguardante questa improvvisazione quasi miracolosa è probabilmente un’esagerazione del biografo bachiano che ha riportato queste informazioni, Johann Nikolaus Forkel. In un altro resoconto di un barone, Gottfried van Swieten, l’improvvisazione sarebbe stata addirittura a otto voci, cosa che, razionalmente, va oltre le capacità umane. Il punto fondamentale è che Bach conobbe il pianoforte, e che dunque, in linea di massima, un’esecuzione del CBT su questo strumento potrebbe avere persino una certa legittimità.

 

 

 

Ma ciascuno degli argomenti sinora presentati non è determinante, e la questione è naturalmente predisposta a poter continuare in eterno. Esiste forse una sola valutazione sensata in proposito, ormai comunemente accettata dalla maggior parte degli esecutori del CBT. Kirkpatrick espone bene quest’idea, con le sue parole: «Credo sia impossibile sostenere irrefutabilmente che una qualsiasi parte del CBT sia destinata esclusivamente a un determinato strumento a tastiera, sia esso il clavicembalo, il clavicordo o l’organo. Le prove storiche e stilistiche si prestano ad argomentazioni in diverse direzioni, nessuna delle quali è conclusiva. I preludi e le fughe sono opere che assumono aspetti differenti secondo lo strumento su cui vengono eseguite. Più ancora, le loro implicazioni vanno ben oltre i confini di qualsiasi strumento a tastiera. Esattamente come un disegno è spesso l’abbozzo di un dipinto, così molte delle fughe sono abbozzi di opere corali. Come un disegno sull’album d’un pittore può prefigurare un enorme affresco, così una fuga del CBT può prefigurare un massiccio Kyrie. L’impresa, apparentemente ridicola, di affidare le quattro o cinque voci di una fuga vocale, che richiede un suono continuo a uno strumento a tastiera a corde pizzicate, si spiega se comprendiamo che il suggerimento, come in poesia e nelle arti figurative, può talvolta essere più espressivo e stimolante per l’immaginazione che non un’opera completa».

 

 

 

Marco Bellano